Il Barcellona senza Ronaldinho ha inchiodato. Ha messo la retromarcia. Non è più lo stesso. C'era una volta una squadra che dava spettacolo, e segnava gol a grappoli, divertiva e si divertiva. Da quel 9 marzo (giorno della sconfitta interna 2-1 con il Villarreal), però, tutto è cambiato. Su dodici partite i blaugrana ne hanno vinte solo tre. Di queste, due contro lo Schalke 04 in Champions League: non proprio le migliori esibizioni nella storia del club catalano. Il resto dello score? Da dimenticare: cinque pareggi e quattro sconfitte. Con contestazioni annesse.
C'era una volta una squadra che dava spettacolo. Specie con i suoi attaccanti. A inizio stagione la stampa gongolava immaginando i "Fantastici Quattro": Ronaldinho, Eto'o, Messi e Henry. Insieme hanno giocato pochissime volte, è vero; ma i gol non sono mai mancati. In queste ultime dodici partite, tuttavia, la media è crollata. Solo 14, le reti segnate; una cifra identica a quelle subite. Come se ogni incontro dovesse finire 1-1. Non è roba da Barcellona, anche se le firme sui suddetti gol sono sempre d'autore: cinque Eto'o e Bojan, due Henry, una Iniesta e Yaya Toure. Ma è significativa la più recente carestia offensiva blaugrana: da 404 minuti, infatti, gli uomini di Rijkaard non bucano i portieri avversari. Un solo gol nelle ultime quattro apparizioni al Camp Nou: disastro.
Il fantasma di Ronaldinho, nel frattempo, guarda un paio di cifre e le confronta: "Io sono sceso in campo 26 volte in stagione, e in quelle partite la squadra ha segnato 41 gol, vincendo 15 incontri, pareggiandone 7 e perdendone solo 4". Soprattutto, era ancora impegnata su tre fronti: la distanza in campionato dal Real Madrid era ancora accettabile, più la Coppa di Spagna e la Champions. E' innegabile che al Barcellona, da quando Ronaldinho è "scomparso", manchi qualcosa che va al di là del gioco.
Alex Ferguson, prima del match di ritorno, aveva dichiarato: "Il Barcellona gioca molto bene, ma sempre nella stessa maniera". Certo, l'imprevedibilità è una prerogativa di Ronaldinho. Ieri nemmeno Rijkaard, con quello sguardo fisso e perso nel vuoto, sembrava convinto di farcela. Forse perché, in lontananza, aveva visto il fantasma di un calciatore, vestito sportivo, con i capelli lunghi e con la maglia blaugrana numero dieci.
